Sarà al cinema per due giorni, martedì 31
marzo e mercoledì 1 aprile il nuovo film del regista tedesco Edgar Reitz
L’altra Heimat. Cronaca di un sogno è il quarto capitolo di una lunga saga. Girato in parte in bianco e nero e in parte a colori, Heimat (che prende il nome dalla parola
tedesca che indica la casa o il luogo natio) fu presentato in anteprima nel
1984 alla 41ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia,
raccogliendo un enorme consenso di critica. Suddiviso in 11 episodi, il film narra la storia della famiglia Simon e di Schabbach,
villaggio immaginario dell'Hunsrück, regione d’origine del regista. Dieci anni
dopo, nel 1992, uscì Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza e
nel 2004 arrivò Heimat 3 - Cronaca di una
svolta epocale. L’altra Heimat.
Cronaca di un sogno è stato presentato a Venezia nel 2013 e esce ora nei
cinema italiani per due giorni, martedì 31 marzo e mercoledì 1 aprile,
distribuito da Ripley’s Film, VIGGO e Nexo Digital.
Trama
Trama
Il discorso provvisoriamente
concluso nel 2006 riprende, tornando indietro nel tempo al 1843, sempre
nell’immaginaria Schabbach, dove la famiglia Simon lavora e lotta contro la
morte e dove il figlio Jakob fugge dalla fatica quotidiana immergendosi nei
libri e nel sogno di un Nuovo Mondo. Lo stesso sogno che accompagna la grande
emigrazione di migliaia di europei nell’America del Sud, nel tentativo
disperato di sottrarsi alle carestie, alla povertà e al dispotismo che
dominavano i loro paesi perché, come recita il loro motto, “Qualunque sorte è migliore della morte”.
La sceneggiatura
L’altra Heimat. Cronaca di un sogno (Die Andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht) di Edgar Reitz nasce da diversi mesi di ricerche condotte dal regista con Gert Heidenreich (che assieme a lui firma la sceneggiatura) per raccogliere storie di famiglie dell’Hunsrück, esaminando archivi e collezioni private e studiando le vite dei contadini della Renania della metà dell’Ottocento. Mentre girava Heimat 3, Reitz ricevette la lettera di un’infermiera che lavorava in un ospedale di Porto Alegre. La donna lo aveva visto in un reportage televisivo brasiliano dedicato al cinema tedesco e, notando la sua somiglianza col Dottor Reitz, titolare della clinica in cui lavorava, si chiedeva se esistesse una parentela tra i due. Alcuni mesi più tardi la stessa infermiera fece avere al regista un libro dal titolo Genealogia della famiglia Reitz in Brasile, scritto dal sacerdote cattolico Raulino Reitz, che all’inizio degli anni ’60 aveva condotto alcune ricerche sulla sua famiglia in Brasile. Il volume fece scoprire a Reitz che in effetti gli antenati della brasiliana famiglia Reitz erano originari del villaggio di Hirschfeld, a soli quindici chilometri da Morbach, suo paese natale.
L’altra Heimat. Cronaca di un sogno (Die Andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht) di Edgar Reitz nasce da diversi mesi di ricerche condotte dal regista con Gert Heidenreich (che assieme a lui firma la sceneggiatura) per raccogliere storie di famiglie dell’Hunsrück, esaminando archivi e collezioni private e studiando le vite dei contadini della Renania della metà dell’Ottocento. Mentre girava Heimat 3, Reitz ricevette la lettera di un’infermiera che lavorava in un ospedale di Porto Alegre. La donna lo aveva visto in un reportage televisivo brasiliano dedicato al cinema tedesco e, notando la sua somiglianza col Dottor Reitz, titolare della clinica in cui lavorava, si chiedeva se esistesse una parentela tra i due. Alcuni mesi più tardi la stessa infermiera fece avere al regista un libro dal titolo Genealogia della famiglia Reitz in Brasile, scritto dal sacerdote cattolico Raulino Reitz, che all’inizio degli anni ’60 aveva condotto alcune ricerche sulla sua famiglia in Brasile. Il volume fece scoprire a Reitz che in effetti gli antenati della brasiliana famiglia Reitz erano originari del villaggio di Hirschfeld, a soli quindici chilometri da Morbach, suo paese natale.
Commento del regista
Il tempo che ci
separa dagli eventi di questa storia è di appena 160 anni, ma si è trattato di
un viaggio in una Germania molto diversa e quasi completamente dimenticata, in
un paese sfigurato da una miseria opprimente. Occorre un grande sforzo d’immaginazione
per capire che meno di un secolo e mezzo fa gli abitanti del nostro erano
costretti a sbarcare il lunario in condizioni incomparabili con quelle di qualsiasi
luogo del mondo odierno. A partire da Schabbach ci siamo esercitati a osservare
la vita contemporanea con gli occhi di un estraneo ed è stato terribile vedere
quanto apparissero di colpo apocalittici il consumismo, l’egocentrismo e le
pretese esagerate della nostra società frammentata. Di fatto, uno degli
effetti di Die andere Heimat è forse quello di indurre il pubblico a
fermarsi per un istante e a vivere il diverso ritmo che permetteva ai nostri
antenati di sopravvivere. In fondo, potrebbe essere ancora quello il vero ritmo
del nostro cuore. Oggi in Germania abbiamo molta difficoltà ad
immaginare cosa significhi davvero “emigrazione”, perché conosciamo solo
l’altro lato del problema: siamo diventati noi stessi un paese di immigrazione
(…). È possibile che una storia che descrive il modo in cui la gente lasciava
la propria patria non contribuisca a capire meglio gli immigranti di oggi? Che
cosa significava un addio allora? Per quanto tempo le persone si portavano
addosso, nelle loro nuove case, il dolore di questa partenza?"
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